Allarme pensione per chi ha la partita IVA forfettaria: ecco quanto prendi davvero e perché

Negli ultimi anni l’attenzione sulle condizioni previdenziali di chi opera con partita IVA in regime forfettario è progressivamente aumentata. Questo sistema, promosso per semplificare gli adempimenti fiscali e ridurre la pressione tributaria, nasconde però alcune insidie poco visibili nell’immediato, ma potenzialmente molto gravose nel lungo periodo, in particolare quando si raggiunge l’età pensionabile. Il vantaggio dichiarato della tassazione agevolata e della minore burocrazia si accompagna infatti a una conseguenza spesso sottovalutata: una pensione futura che rischia di essere ben al di sotto delle aspettative di chi oggi beneficia delle agevolazioni.

Come funziona il regime forfettario e quali sono i requisiti

Il regime forfettario è una formula fiscale agevolata riservata alle persone fisiche titolari di partita IVA che svolgono attività d’impresa, arte o professione in modo individuale e che, a partire dal 2025, non superano il limite di 85.000 euro di ricavi o compensi annui. Questa soglia rappresenta un parametro fondamentale sia per l’adesione sia per il mantenimento del regime stesso. A partire dal 2025, anche il limite di reddito da lavoro dipendente o da pensione per poter usufruire del forfettario è stato elevato a 35.000 euro lordi annui.

Uno degli elementi più allettanti del regime è l’applicazione di una imposta sostitutiva che si attesta al 15%, ulteriormente ridotta al 5% nei primi cinque anni per le nuove attività imprenditoriali. All’interno di questa cornice si collocano ulteriori semplificazioni, come la riduzione della burocrazia, la mancata applicazione dell’IVA e l’esonero da alcuni obblighi tipici dei regimi ordinari, tra cui specifici registri contabili.

Contributi INPS: quanto (e quando) si versa davvero

Un aspetto centrale, spesso sottovalutato, riguarda i contributi previdenziali dovuti all’INPS. Per chi aderisce al regime forfettario, è prevista la possibilità di accedere alla riduzione del 35% dei contributi INPS, una misura disponibile solo per artigiani e commercianti, da richiedere esplicitamente ogni anno tramite domanda all’INPS. Grazie a questa riduzione, la quota di contributi dovuta risulta notevolmente inferiore rispetto agli iscritti alla Gestione Separata o agli autonomi in regime ordinario.

Questa scelta, se da un lato libera liquidità preziosa nell’immediato – contribuendo significativamente a rendere il regime fiscalmente vantaggioso – dall’altro comporta un abbassamento del cosiddetto montante contributivo, ossia la base su cui verrà calcolata la futura pensione. Con meno contributi versati ogni anno, anche la pensione maturata sarà evidentemente più bassa. Inoltre, una contribuzione ridotta può anche posticipare il raggiungimento dei requisiti per l’accesso alla pensione stessa: infatti, la pensione nel sistema contributivo italiano dipende dal totale dei contributi effettivamente accumulati lungo la carriera lavorativa.

Impatto di una contribuzione ridotta sulla pensione futura

Il meccanismo previdenziale che interessa chi lavora con partita IVA in regime forfettario è di tipo contributivo. Questo significa che l’importo della pensione rifletterà fedelmente quanto è stato versato negli anni: meno contributi equivalgono a una pensione sensibilmente più bassa rispetto a quella di un lavoratore dipendente con un reddito similare o di un autonomo che versa la quota piena.

Per rendere l’idea, chi aderisce al regime agevolato e alla riduzione del 35% dei contributi, durante un’intera carriera lavorativa, si troverà ad avere un montante previdenziale inferiore di oltre un terzo rispetto a chi versa la contribuzione ordinaria sulla stessa base imponibile. Inoltre, anche la base imponibile su cui viene calcolata la pensione in regime forfettario è spesso inferiore, poiché su tutti i ricavi dichiarati viene applicato un coefficiente di redditività predeterminato, che di solito oscilla tra il 40% e l’86% in base all’attività esercitata. Su quella percentuale residua si calcolano sia l’imposta sia i contributi dovuti.

  • Un forfettario che fattura 30.000 euro lordi, ad esempio, avrà una base imponibile su cui calcolare tasse e contributi ridotta secondo il coefficiente stabilito (ad esempio, 67% per molte attività professionali: la base è quindi 20.100 euro). Da questa somma si parte per determinare, anno dopo anno, l’ammontare dei contributi e il montante previdenziale accumulato.
  • Se si opta per la riduzione del 35%, la contribuzione annua obbligatoria scende ulteriormente, con il rischio di compromettere il valore della pensione e la velocità di maturazione dei requisiti (anni di contributi sufficienti).
  • A differenza dei lavoratori dipendenti, dove la contribuzione viene calcolata su una base più ampia e senza possibilità di riduzione, chi opera come autonomo può ritrovarsi, a parità di reddito, con una pensione nettamente inferiore.

Quali sono le possibili strategie e i rischi da evitare

Chi apre una partita IVA in regime forfettario dovrebbe valutare attentamente le conseguenze previdenziali della propria scelta. In particolare, è cruciale ricordare che:

  • Il risparmio di oggi sulle imposte e sui contributi può tradursi in una pensione pubblica largamente insufficiente per mantenere il proprio tenore di vita.
  • La contribuzione INPS, specie se ridotta, può non bastare a garantire una copertura previdenziale decorosa, lasciando il lavoratore esposto al rischio di povertà in età avanzata.
  • Le giovani generazioni e chi si affaccia da poco al lavoro autonomo rischiano di pagare nel tempo il prezzo più alto, accumulando un montante troppo basso per avere una pensione sufficiente alla fine della carriera.
  • I requisiti per la pensione rimangono gli stessi: bisogna comunque maturare l’età minima prevista e almeno 20 anni di contributi. Tuttavia, con importi così bassi può servire di più per arrivare al minimo richiesto per la pensione di vecchiaia.

Per affrontare questa situazione, può essere utile affiancare una pensione integrativa volontaria – tramite fondi pensione, PIP o Piani Individuali Pensionistici – che permettano di destinare parte del risparmio ottenuto grazie alle agevolazioni fiscali del regime forfettario a costruire un secondo pilastro previdenziale.

Va sottolineato che il tema interessa non soltanto i giovani autonomi, ma anche coloro che, una volta in pensione, desiderano integrare i propri redditi aprendo una partita IVA, magari per attività saltuarie come consulenze, ripetizioni o altri incarichi da libero professionista. In questi casi la compatibilità tra pensione e regime forfettario è assicurata, purché si rispettino i limiti sui redditi e le condizioni legali stabilite dalla normativa vigente. Tuttavia, anche in questo scenario, eventuali versamenti contributivi aggiuntivi non porteranno quasi mai a un incremento significativo del trattamento pensionistico base.

Infine, resta sempre valido l’invito a consultare un consulente previdenziale o un patronato per valutare la propria situazione e programmare una strategia di lungo periodo, considerando sia le opportunità fiscali del regime forfettario sia le sue ricadute sulla sicurezza economica futura. In un’epoca in cui la sostenibilità del sistema pensionistico italiano è oggetto di dibattito continuo e la gestione autonoma della carriera lavorativa è sempre più diffusa, la conoscenza delle regole previdenziali e dei loro effetti può davvero fare la differenza per il benessere degli anni a venire.

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